COS’E’ L’AGRICOLTURA BIOLOGICA
Da recenti studi di mercato attuati su scala europea, si evince che l’incidenza delle superfici agricole condotte con metodologie biologiche varia proporzionalmente allo stato di avanzamento tecnico ed alla sensibilità che le diverse nazioni hanno nei confronti delle problematiche ambientali.
Difatti il “carico” imposto sull’ambiente dai Paesi industrializzati ha raggiunto ormai livelli di guardia.
Lo stimolo verso sempre maggiori produttività agricole tende infatti ad esasperare l’utilizzo di prodotti chimici con conseguenze non più compatibili con l’esigenza di garantire un equilibrio accettabile con l’ecosistema.
La crescita della coscienza ambientalista presso l’opinione pubblica e il peso determinante dei movimenti di protezione dei consumatori che pongono quotidianamente l’accento sui residui di prodotti chimici e di fertilizzanti nei prodotti agricoli e nelle acque potabili, ha indotto la necessità di una politica di intervento che miri alla salvaguardia degli ecosistemi in un quadro di diversificazione e sviluppo delle produzioni agricole.
Definizione del metodo di produzione biologico di prodotti agricoli
Il Consiglio delle Comunità Europee, con Regolamento n. 2092/91 del 24 giugno 1991, ha definito il “metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e la indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari”.
Chi intende produrre secondo il metodo biologico e successivamente commercializzare i prodotti ottenuti con tale indicazione nell’etichetta, deve avvalersi scrupolosamente ad un disciplinare di produzione, specifico per ogni tipo di coltura e riconosciuto a livello internazionale dell’INFOAM (Federazione mondiale dei movimenti di agricoltura biologica), che indica le norme di natura agronomica, colturale, fitosanitaria, trattamenti post-raccolta e di trasformazione ritenute necessarie per garantire la qualità attesa dai consumatori di prodotti biologici.
Negli stati membri della CE, vi sono organismi di controllo riconosciuti che hanno il compito di vigilare sul rispetto delle indicazioni del disciplinare da parte delle aziende agricole che aderiscono al metodo di produzione biologico e di autorizzarne, se ne sussistono le condizioni, l’utilizzo del marchio di “biologicità” sui prodotti.
In Italia, gli organismi di controllo riconosciuti (con autorizzazione del Ministero delle Risorse Agricole e Alimentari) sono attualmente 7.
L’origine dell’agricoltura biologica in Italia si colloca negli anni 70, con le prime esperienze condotte dall’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica e ad esse sono andate via via affiancandosi quelle adottate da altri paesi quali: la macrobiotica, la Lambire-Boucher, l’Anog, la organico-biologica, la Vegan, la Howart-Balfour e altre che propongono risposte alla domanda crescente di un’alimentazione più sana e ad un maggiore rispetto dell’ambiente.
Da recenti studi di settore emerge che in Italia attualmente operano circa 20.000 aziende a conduzione biologica o in fase di conversione al biologico con una superficie agricola utilizzata (S.A.U.) complessiva di circa 275.000 ettari (l’estensione di una regione come il Molise).
La Sicilia detiene senza dubbio il primato nazionale della produzione sia per numero di aziende che per superficie agricola, ma risulta essere caratterizzata da una dimensione aziendale contenuta. Ciò determina una produzione estremamente frammentaria, insufficientemente standardizzata e caratterizzata da una scarsa capacità di penetrazione nei mercati di domanda del prodotto biologico.
Recenti sondaggi di opinione condotti su scala nazionale, hanno evidenziato un forte bisogno di naturalità nel consumo alimentare e la tendenza di esso a tradursi in un’espansione della domanda di prodotti biologici.
Una ricerca condotta sulle caratteristiche dei consumatori italiani di prodotti biologici delinea una figura d’élite intellettuale, con cultura superiore alla media, estremamente sensibile alle problematiche legate all’ambiente e alla salute. Per costoro, gli alimenti biologici sono la base quasi esclusiva della loro dieta e sono perfettamente a conoscenza de significato di alimento biologico. L’identikit dell’acquirente mostra un individuo con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni che ritiene il luogo ideale di tali prodotti lo spaccio diretto presso il produttore o il negozio specializzato; infine è venuto a conoscenza del prodotto biologico attraverso la propria rete di amicizie e parentela.
L’insieme di questi aspetti suggerisce che gran parte dei consumatori ha ancora un comportamento elitario testimoniato tanto dalla preferenza per le strutture distributive, quanto dal prevalere di canali informativi esterni al mercato. Le ragioni di tali preferenze, non sono da attribuirsi solo al desiderio di distinzione sociale, ma anche alla insufficienza di garanzie in merito alla qualità del prodotto ed ai processi di lavorazione. Il rapporto preferenziale e fiduciario con il venditore è, in realtà l’unica valida alternativa a tali carenze.
Tra le determinanti di tale tipologia di domanda, il prezzo rappresenta uno dei maggiori vincoli alla futura espansione del settore dell’agricoltura biologica. Risulta infatti necessario, di norma, imporre ai propri prodotti prezzi più alti di quelli dei prodotti convenzionali, in funzione dei maggiori costi di produzione sopportati e delle più consistenti perdite di prodotto.
Ciò implica che le prospettive future di espansione del settore risultano condizionate dal conseguimento di standard qualitativi idonei per l’inserimento nelle grandi catene distributive che ne rendano possibile un contenimento dei prezzi finali al consumo.
Nella terminologia corrente, è ormai superato il concetto di definire “agricoltura biologica” ogni sistema di produzione agricola che utilizza organismi viventi e loro prodotti allo scopo di proteggere le piante dagli agenti biologici dannosi e quindi alternativo a quello che si basa su una fiducia incondizionata ed irrazionale all’impiego di mezzi soprattutto chimici.
In realtà nelle aziende ad indirizzo biologico, l’ecosistema agrario, creato dall’uomo con finalità produttive, tende ad avvicinarsi il più possibile agli ecosistemi presenti in natura. Difatti negli ecosistemi naturali, gli elementi di natura biotica che compongono le catene alimentari e quelli di natura abiotica rappresentati dal terreno, dall’atmosfera e dal clima tendono ad instaurare fra loro dei complessi rapporti che nella loro risultante rendono possibile la stabilità e la capacità di sopravvivenza dell’ecosistema stesso.
Ogni organismo vivente all’interno dell’ecosistema è dotato di una propria caratteristica capacità di adattarsi e proliferare (potenziale biotico) e che deve confrontarsi con la resistenza che gli altri elementi esercitano nei suoi confronti (ecoresistenza).
Il confronto tra potenziale biotico delle singole specie e dei rispettivi fattori di ecoresistenza genera dei flussi di energia biologica che rappresentano la vita stessa dell’ecosistema.
Il livello di presenza di popolazioni delle specie che ne fanno parte (animali, vegetali o agenti microbiologici) è infatti soggetta a delle periodiche oscillazioni che difficilmente conducono alla loro scomparsa o al loro sopravvento a discapito assoluto di altre.
Questa però è una legge di natura che si distanzia notevolmente da quelle economiche che regolano l’attività produttiva.
Nell’azienda agraria il nucleo centrale dell’ecosistema è rappresentato da poche o pochissime specie coltivate su cui l’uomo tende con il proprio operato a concentrare gli equilibri biologici.
La selezione “artificiale” che ne consegue comporta una semplificazione degli ecosistemi agrari con il risultato che l’ecoresistenza nei confronti di specie ritenute “dannose” risulta essere rappresentato da un numero minore di elementi e quindi più contenuta.
Quando l’uomo per salvaguardare i raccolti interviene utilizzando un prodotto chimico ottiene una risposta immediata in quanto apparentemente elimina l’agente (fitofago o patogeno) del danno.
In realtà le conseguenze sono anche di altro tipo, in quanto è dimostrato che la maggior parte dei prodotti chimici risultano attivi contro gli agenti di contenimento biologico (organismi ausiliari), mentre gli agenti dannosi sviluppano dei meccanismi di selezione naturale che gli consentono in tempi più o meno brevi di risultare invulnerabili (meccanismo dell’ecoresistenza).
Quindi, in una corsa senza fine, si sperimentano dosaggi sempre più alti e principi attivi sempre più “incisivi” fino ad ottenere quello che si definisce “vuoto biologico”.
Le conseguenze nefaste di ciò sono sotto gli occhi di tutti, nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, in quello che mangiamo ed il prezzo che l’ecosistema “pianeta terra” paga per tutto ciò è ancora ben lontano dall’essere definito.
Il biologico propone un’inversione di tendenza a ciò introducendo dei concetti rivoluzionari, ma per nulla nuovi in natura: si tende cioè a ripristinare nell’azienda di produzione agraria quei fattori di ecoresistenza che possano far sì che ogni elemento ritenuto “dannoso” non venga completamente sradicato, ma sia comunque contenuto al di sotto di un livello di presenza che si dimostri economicamente accettabile per il produttore.
La filosofia agronomica del biologico non prevede quindi un meccanismo di risposta diretta all’agente ritenuto dannoso con il prodotto chimico, ma pianifica per tutto il ciclo di coltivazione una serie di interventi agronomici, colturali e fitosanitari che nel loro complesso consentono di ottenere un traguardo di stabilità nell’agroecosistema e che si traduce in qualità biologica del prodotto al consumatore finale.
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